foto: la lista di non-negotiables da the bear season 3 (via)
avevo già accennato da un’altra parte (ciao
) che il quarto disco dei fontaines d.c. mi ha fatto un po’ lo stesso effetto della terza stagione di the bear. c’entra l’influenza del mondo del fashion, ormai parte integrante dello show in entrambi i casi, e c’entrano le mie aspettative in parte deluse, al netto di alcuni episodi di alto livello che spiccano sul resto (tipo ice chips e napkins per the bear, starbuster e here’s the thing per “romance”).un concetto chiave che potrebbe legare il ristorante di chicago all’ultimo disco del quartetto di dublino è poi l’ambizione. da una parte ci sono le stelle michelin, dall’altra i concerti negli stadi, in mezzo la stessa voglia di arrivare sempre più in alto.
è nel modo in cui si insegue quest’ambizione, però, che si manifesta la rottura più evidente tra le due parti. la ricetta del successo per carmy berzatto passa per i non-negotiables: una serie di principi assoluti da cui è impossibile prescindere. al contrario, i fontaines d.c. a sto giro si sono messi parecchio in discussione: nuova etichetta, nuovo armadio, meno irlanda, meno chitarre.
ho ripensato alla questione “the bear d.c.” mentre ascoltavo il capitale musicale - il bel podcast di alberto bebo guidetti sul rapporto tra l’industria della musica e quella parola con la c che ci rovina la vita.
le prime puntate del podcast di bebo finiscono tutte con la stessa domanda: se potessi cambiare un aspetto dell’industria musicale, tu cosa cambieresti?
gli ultimi giorni dell’anno vecchio finiscono tutti con la stessa domanda: se potessi cambiare qualcosa della tua vita nell’anno che verrà, tu cosa cambieresti?
mentre capisco se è più utopico aggiustare le storture del capitalismo o rispettare i buoni propositi dell’anno nuovo, ho provato a rispondere nel mio piccolo alle domande qui sopra con una serie di proposte che vorrei portare con me nel 2025. l’ho fatto pensando a tre non-negotiables per l’industria musicale e a tre new year’s resolutions per me. perché uno ha bisogno di valori immutabili in cui credere per campare, ma chi non si mette mai in discussione su niente poi invecchia male. stop.
tre non-negotiables per l’industria musicale
1. smettere di dare soldi ai servizi di streaming che pagano male gli artisti.
a marzo ho provato a spiegare perché ho deciso di cancellare il mio abbonamento premium, pur continuando ad ascoltare i podcast con la versione gratuita. al momento uso quei 10/15 euro al mese per comprare un disco su bandcamp, possibilmente durante il bandcamp friday. il sogno sarebbe convincere un centinaio di persone a fare la stessa cosa e insieme usare quei 1000/1500 euro mensili per finanziare una radio indipendente, un club, un’etichetta indie o darli direttamente all’artista/band in questione per organizzare un concerto in autonomia. io ci sono, ora serve giusto trovare altre 99 persone. battete un colpo se ci siete anche voi.
2. abbonarsi a una rivista di critica musicale.
i soldi non sono infiniti e sono il primo che ha dovuto rinunciare a malincuore all’abbonamento cartaceo di rumore per l’europa. l’abbonamento digitale (costo: 25€ all’anno) è stato il compromesso ideale per continuare a leggere e supportare chi scrive di musica in italiano con professionalità. io ho detto rumore perché è il mio mag preferito e riunisce sotto lo stesso tetto una serie di penne formidabili, ma sostenere economicamente o, qualora non fosse possibile, leggere e condividire abitualmente i contenuti di una qualsiasi rivista di musica e/o giornalista che si apprezza mi sembra tanto necessario quanto il supporto da dare agli artisti.
3. sostenere il circuito indipendente e le realtà grassroots.
a meno che non vogliamo trovarci in un contesto in cui a fare musica/andare ai concerti saranno solo le persone benestanti (ci siamo quasi), va fatto tutto il possibile per preservare le realtà indipendenti (artisti, radio, locali, festival, riviste eccetera eccetera) in modo che siano accessibili a tutti. il circuito indipendente è la linfa vitale di un sistema culturale - ancora di più in un contesto di provincia, dove la chiusura di un club può avere un impatto devastante. ascoltare e promuovere nel proprio piccolo un disco in più di un gruppo emergente; andare a un concerto del localino underground senza conoscere l’artista che suona; leggere ogni tanto un articolo di una firma sconosciuta: non è solo questione di curiosità, ma di comunità.
tre buoni propositi per il 2025
1. ascoltare più dischi del passato.
è l’alba di un nuovo venerdì e mentre sale la fotta di ascoltare le uscite del momento o scoprire la next big thing ripenso a quando il prof di storia e filosofia del liceo diceva che “siamo nani sulle spalle dei giganti”. il tizio che mi guarda da dentro lo specchio mi dice “vedi che è la fomo” e io giuro e spergiuro che la fomo non c’entra una mazza, è solo un sincero desiderio di capire fin dove si sono spinte questa settimana le frontiere del progresso musicale. solo che in certi giorni mi viene il dubbio che io sia un nano e basta e allora mi piacerebbe salire più spesso sulle spalle di qualche gigante dell’altroieri, ma anche solo di ieri, perché dicono che da lassù poi la vista è pazzesca.
2. ascoltare più artisti non occidentali.
molte delle risorse a cui faccio riferimento (qui c’è il listone con quelle che consulto più spesso) hanno a che fare con l’occidente e in gran parte con i paesi anglofoni. più passa il tempo e più ho la sensazione che mi sto perdendo dei pezzi importanti. tipo quando ho scoperto il canale youtube di rap shar3.
3. approfondire meglio l’industria musicale.
banalmente: con che faccia mi metto qui a proclamare non-negotiables e capire cosa fare nel mio piccolo per un settore che mi sta a cuore se ci sono ancora tanti meccanismi che vorrei approfondire meglio? chi conosce libri, studi, podcast o articoli interessanti al riguardo e vuole consigliarmeli, io sono tutt’orecchi.
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