Centralini: telegrammy chiama le Creole Cuts [parte 2]
un'ottima memoria e una cosa volutamente rimasta in sospeso dal 2023
foto via facebook
centralini è grandi artisti e interviste piccolissime. esatto: una scusa per parlare a telefono con le autrici e gli autori dei dischi che mi piacciono. e il giovane holden muto.
versione 1: non amo lasciare le cose in sospeso, ma ho preferito aspettare il momento giusto per pubblicare il seguito dell’intervista alle creole cuts, tipo questo nuovo disco ambient prodotto da anja ngozi, fresco fresco di uscita.
versione 2: non amo lasciare le cose in sospeso, ma mi ero dimenticato di pubblicare il seguito dell’intervista alle creole cuts, fino a quando un nuovo disco ambient prodotto da anja ngozi mi ha ricordato che non amo lasciare le cose in sospeso.
una delle due versioni qui sopra è falsa, il mio cervello è in forma smagliante e ho già detto che non amo lasciare le cose in sospeso?
(qui il link alla prima parte dell’intervista alle creole cuts per un ripasso veloce. per tutti quelli che, come me, hanno una memoria di ferro. stop)
capitolo 4: comunità| sault - “5” (2019)
se penso ai sault la prima parola che mi viene in mente è comunità. per il modo in cui gestiscono il progetto e per il grande impatto sociale che ha avuto la loro musica negli ultimi anni. cos’è per voi “comunità”?
rabiah: tutto. la comunità è tutto. ti influenza, fa parte della tua identità, è un aspetto fondamentale della vita che plasma chi sei e cosa fai. credo però che oggi sia un concetto molto frammentato, vuoi per l’influenza dei social media o per il fatto che forse si sta meno insieme con le altre persone, quindi poi sta a te fare lo sforzo di cercare la tua comunità di riferimento.
jodie: soprattutto se vivi in una città come londra, senti un individualismo molto forte, come se tutti fossero dei tuoi potenziali concorrenti. invece credo che sia importante formare delle realtà in cui, anche se ti occupi di cose simili, la competizione si annulla, in cui si cresce e si impara insieme. è questa l’idea che ci ha spinto a formare un collettivo: creare un safe space, sapere di avere un appoggio quando stai affrontando delle difficoltà con un’etichetta o un concerto e magari hai mille domande, ma sai di avere un posto dove condividere i tuoi dubbi. in ogni caso penso che la comunità vada al di là dell’idea di un gruppo di persone che si ritrovano in un unico luogo o fanno tutte la stessa cosa. l’aspetto centrale secondo me è il creare dei legami, rimanere connessi con gli altri.
anja: hai presente l’espressione it takes a village to raise a child? ecco, questa per me è l’idea alla base di comunità. ricollegandomi a quello che diceva jodie: è vero che una città come londra ti offre un sacco di possibilità, ma senza una comunità alle spalle è veramente difficile fare qualsiasi cosa da un punto di vista creativo. negli ultimi anni mi è capitato di organizzare manifestazioni o prendere parte a eventi in cui nessuno dei partecipanti ha guadagnato nulla, ma che sono stati importanti per sbloccare altre situazioni. ecco, fare una cosa del genere da soli sarebbe impossibile. per esempio, grazie alla radio sono entrata in contatto con il collettivo giapponese jazzy sport london e poi conoscendoci è nata una bella collaborazione tra il loro gruppo e il mio, in maniera molto spontanea. comunità significa anche possibilità e opportunità.
capitolo 5: creatività | mckinley dixon - “beloved! paradise! jazz!?” (2023)
il disco di mckinley dixon, che prende il nome da tre libri di toni morrison, mi sembra un bell’esempio di come a volte funziona la creatività: l’arte che si alimenta di arte per dare vita a qualcosa di nuovo. voi curate altri progetti creativi oltre a quello delle creole cuts?
anja: al momento, uno dei miei progetti principali al di là degli eventi live come musicista o dj è il lavoro con il collettivo síbín, con cui l’anno scorso ho curato la pubblicazione di una compilation e di una fanzine, collaborando con vari artisti della scena underground inglese [come wu-lu o taz & meeks, cioè tirzah e mica levi, ndr] e internazionale.
rabiah: curo uno show radiofonico su netil radio, che è un bel progetto di una radio comunitaria di base a hackney, a londra, gestita da un dj molto in gamba, miro sundaymusiq.
jodie: mi occupo della produzione di documentari, eventi e contenuti media per brand e questa possibilità di mescolare tra loro i vari linguaggi creativi è la cosa che mi appassiona di più. se per esempio sto lavorando a un contenuto per un brand sportivo, cerco di renderlo più mio, più personale, curando anche la parte musicale. o viceversa: se sto preparando un dj set, mi concentro su come arricchire quell’esperienza, magari aggiungendo un elemento visivo.
capitolo 6: innovazione | sophie- “oil of every pearl's un-insides” (2018)
ricordo bene le reazioni entusiaste della critica quando uscì il disco di sophie. mi sembrava bello allora chiudere questa chiacchierata con uno sguardo al futuro, omaggiando un’artista all’avanguardia che ci ha lasciato troppo presto. chi sono per voi oggi dei musicisti che considerate come pionieri o innovatori?
anja: sarò sicuramente di parte, visto che li conosco, ma la verità è che non mi vengono in mente artisti che mi ispirano di più di kwake e biscuit degli speakers corner quarter o che suonano come tirzah, mica levi e cobey sey. sono musicisti che fanno cose diverse tra loro, ma hanno lo stesso approccio innovativo all’arte. come mi ha detto lo stesso kwake una volta: it’s carefree, not careless. è musica libera dalle pressioni esterne, spensierata, ma non per questo superficiale o prodotta male. soprattutto, un artista come kwake è una grande fonte d’ispirazione anche per il valore collettivo che dà alla musica, mettendo la sua esperienza a disposizione degli altri.
rabiah: per restare in tema di artisti con cui collabora kwake, io aggiungerei anche sampha, che ha un suono veramente unico e sempre così autentico. poi a me piacciono molto anche james blake o per esempio producer old school come mala dei digital mystikz, che stimo e rispetto per aver sempre portato avanti la sua idea di sound, senza voler adattarlo alle mode. ecco, apprezzo gli artisti che rimangono fedeli a se stessi, che non sentono il bisogno di conformarsi ai cambi della società.
jodie: sono d’accordo su tutto, ci tengo solo ad aggiungere una cosa. oltre agli artisti in sé, secondo me sono certe etichette diy e organizzazioni nate dal basso che stanno facendo un lavoro veramente eccezionale. prendi la touching bass. spesso è grazie a comunità come queste che poi gli artisti hanno le risorse per produrre qualcosa in una scena così competitiva e satura come quella di londra. quindi, sì, abbiamo musicisti straordinari, ma per fortuna anche un paio di realtà che permettono agli artisti di crescere ed esprimersi al meglio.
telegrammy è grandi dischi raccontati con testi piccolissimi. musica e parole selezionate con cura. telegrammy non è sui social. se sei qui è grazie (ai tuoi gusti musicali pazzeschi e) al passaparola. per inviare i telegrammy a chi vuoi bene inoltra questa mail o manda questo link. stop.