Centralini: telegrammy chiama le Creole Cuts [parte 1]
ho parlato di crate digging, identità e londra non con una, non con due, ma con tre dj
foto via resident advisor
centralini è grandi artisti e interviste piccolissime. esatto: una scusa per parlare a telefono con le autrici e gli autori dei dischi che mi piacciono. e il giovane holden muto.
un mese fa, giorno più giorno meno, ho avuto modo di fare una bella chiacchierata con anja ngozi, jodie yates e rabiah saud, aka il collettivo di dj inglesi creole cuts, in line up al reeperbahn festival 2023. se seguite questa newsletter da un po’, il nome potrebbe dirvi qualcosa, dato che avevo menzionato il trio in occasione di un disco uscito a marzo per cui mi sono moderatamente ossessionato. se non ne avevate mai sentito parlare: benvenuti nel tunnel. i dj set del collettivo londinese, mix di gemme nascoste r&b, suoni della diaspora africana e vibes caraibiche, hanno già conquistato festival e piattaforme di peso (worldwide fm, ministry of sounds, boiler room, per citarne un paio) e, più banalmente, il sottoscritto. ho allora approfittato della tappa amburghese per farmi raccontare qualcosa in più del progetto dalle dirette interessate.
avendo non una, ma ben tre dj da intervistare, non ho resistito alla tentazione di selezionare anche io qualche disco. a questo giro, allora, ogni domanda viene fuori da un vinile che ho scelto dalla mia collezione apposta per la chiacchierata.
avendo non una, ma ben tre dj da intervistare, la chiacchierata in questione non è stata proprio brevissima, ma non ho resistito alla tentazione di pubblicarla tutta. a questo giro, allora - per mantenere una parvenza di testo brevissimo - ho deciso di dividere il centralini in due parti da tre capitoli ciascuna. qui trovate la prima parte, poi ci risentiamo per la seconda. stop.
capitolo 1: crate digging | rupa - “disco jazz” (1982)
2014, india. debayan sen, figlio di rupa, trova un disco in un vecchio scatolone e scopre per caso che la madre ha pubblicato un album nel 1982, ricercatissimo su discogs. tra discussioni su reddit e dj set, “disco jazz” diventa presto un caso e verrà poi ripubblicato dall’etichetta numero group a quasi 40 anni dall’uscita. a voi in che modo piace scoprire e selezionare musica per i vostri progetti?
anja: per me vale tutto - uso molto youtube e spotify, ascolto dischi consigliati da amici… mi piace passare da un metodo all’altro, sperimentare; anche ascoltare robe a caso stranissime. ecco, amo l’idea di non sapere quello che ti aspetta, di lasciarsi sorprendere dal momento. il fatto di lavorare in un negozio di dischi - sounds of the universe a soho - sicuramente aiuta molto. spesso in negozio ci arrivano vecchi dischi ondulati. poi però li metti sul giradischi e a volte suonano lo stesso bene. anche quello diventa un modo per scoprire, in modo del tutto casuale, bella musica che non conoscevo.
rabiah: mi piace molto immergermi in lunghe ricerche digitali su discogs o nei negozi di dischi. uno dei miei preferiti è eldica records a dalston, east london, specializzato in soul, funk e reggae. se sono alla ricerca di un album in particolare, adoro andare lì e passare le ore a cercare negli scatoli prima di vedere se lo trovo online. su tutto, amo scovare i dischi originali delle tracce campionate. ci ho messo due anni a trovare il vinile di tiden flyver, brano di una band danese che è il sample principale in bitch, don’t kill my vibe di kendrick lamar.
jodie: io al momento preferisco approfondire canzoni di un determinato periodo piuttosto che concentrarmi sulle nuove uscite. ascolto molta più musica “per momento storico” che per genere. l’altro giorno stavo facendo una playlist dei brani che sto ascoltando di più e c’erano un sacco di baby makers degli anni ‘90 così come canzoni del congo dello stesso decennio. è proprio questo aspetto che mi interessa e su cui poi mi piace fare ricerca: gli elementi in comunque tra brani all’apparenza molto diversi tra loro, e magari legati a due aree geografiche distanti, ma che appartengono allo stesso momento storico.
capitolo 2: identità | farhot - “kabul fire vol.2” (2021)
farhot è un producer tedesco-afgano. nasce a kabul negli anni ‘80, nel periodo dell’invasione sovietica in afghanistan. pochi giorni dopo la sua nascita, la famiglia lascia il paese per trasferirsi ad amburgo. il suo ultimo disco, “kabul fire vol.2”, mischia riferimenti alla cultura afgana - a cui si avvicina negli anni tramite i racconti dei genitori e i matrimoni dei parenti - all’hip hop contemporaneo. è un album che, un po’ come “síbín vol. 1” curato da anja, riflette molto sul tema dell’identità. giro a voi la stessa domanda che è alla base della compilation di síbín: cosa significa per voi “identità”?
rabiah: per me, che ho origini caraibiche e dell’asia meridionale, musica e cibo sono elementi importanti per connettermi con una parte della mia identità. perché già solo ascoltando una canzone si possono poi scoprire e approfondire tanti altri aspetti, come la storia o la politica del posto. da un lato, il reggae, la dancehall e il lovers rock mi hanno avvicinato alla giamaica; d’altra parte, mi sento connessa al pakistan tramite la musica punjabi o artisti iconici come nusrat fateh ali khan o noor jehan.
anja: sono molto interessata al taoismo e all’idea di una vita spontanea in cui non si cerca di avere il controllo su tutto, quindi credo che l’identità sia in continua evoluzione. in quanto producer e dj, per me la musica ha un ruolo centrale in questo processo, perché ascoltando e scoprendo artisti diversi poi imparo anche cose nuove su di me. quando una canzone mi colpisce e mi ispira, anche se non sono stata io a realizzarla, in qualche modo finisce per rappresentarmi, influenzando il mio processo creativo e la mia persona. l’identità è come un seme che ha bisogno di continue attenzioni per continuare a crescere. non sai cosa diventerà, ma non importa. ciò che conta è concentrarsi su ciò che fa crescere questo seme.
jodie: vedo l’identità come un aspetto molto personale, ma spesso legato a logiche lontane da te. perché può capitare che la tua idea di identità non coincida con quella che altre persone associano a te. dedicarsi a un’attività in cui ci si mette in mostra, come il musicista o il dj, ti fa sentire vulnerabile. basta poco per iniziare a pensare che la gente vuole o si aspetta che tu suoni solo un determinato tipo di musica. quindi per me identità significa innanzitutto avere il controllo di chi sei. ricordarsi di mettere al centro la tua persona e la tua visione rispetto a quella degli altri. perché alla fine chi ti segue è attratto dal tuo punto di vista e dal modo in cui tu selezioni o fai musica. se non fosse così, le persone si farebbero bastare le playlist che si fanno da sole, no? credo perciò che è importante avere fiducia in te stesso e nel tuo approccio, ricordandosi che l’identità e quindi i gusti sono in continua evoluzione. io voglio sentirmi libera di suonare quello che mi va, non quello che gli altri si aspettano da me.
capitolo 3: londra | we out here - “we out here” (2018)
vi siete conosciute a londra e avete collaborato con diverse radio locali prima di formare il collettivo. ho scelto quest’album della brownswood recordings di gilles peterson perché vi ho conosciuto tramite lo show su worldwide fm e siete state anche in line up al we out here festival nel 2021. mi raccontate del festival o di un set che vi è rimasto particolarmente a cuore?
jodie: quella è stata un’esperienza veramente stupenda. ci siamo sentite a casa: era pieno di gente che ama la buona musica e apprezza il nostro sound. perché sai, a volte succede che ti ritrovi a suonare in situazioni non ideali, dove ti posizionano in un angolo a caso del locale o magari tu hai fatto uno spettacolo incredibile, ma il pubblico non è sulla tua stessa lunghezza d'onda. in quel caso è stato tutto perfetto: un set fantastico, un pubblico caloroso e il tempo era splendido. sembrava di conoscersi tutti, c’era un’atmosfera molto gioiosa e familiare.
anja: io ho apprezzato molto anche il live della boiler room anche se, devo essere sincera, non ho una grande considerazione della boiler room come istituzione. ma in quell’occasione credo sia venuto fuori un set molto piacevole. abbiamo prima avuto dei piccoli momenti individuali, in cui abbiamo portato la musica ciascuna in direzioni diverse, poi però il back-to-back è stato molto sinergico.
rabiah: in questo senso il sound delle creole cuts è molto eclettico, perché ognuna di noi ha il suo stile distinto, ma nel momento in cui facciamo un set insieme poi le parti si amalgamano molto bene. comunque concordo con entrambe, perché in tutte e due quelle occasioni il pubblico era molto aperto e reattivo e la riuscita di uno spettacolo dipende anche da questo. in generale, noi abbiamo un’idea di come far partire il tutto, ma poi improvvisiamo in base alla situazione e sia al we out here che alla boiler room sono venuti fuori dei set bellissimi anche perché c’era un’energia pazzesca.
telegrammy è grandi dischi raccontati con testi piccolissimi. musica e parole selezionate con cura. telegrammy non è sui social. se sei qui è grazie (ai tuoi gusti musicali pazzeschi e) al passaparola. per inviare i telegrammy a chi vuoi bene inoltra questa mail o manda questo link. stop.