foto di un autore che di cognome fa powell, via discogs
la necessaria premessa, again
italian disco club è una rassegna che curo un paio di volte l’anno all’istituto italiano di cultura di amburgo, ma chi ha letto il primo episodio dell’acchiappafantasmi lo sapeva già. breve recap per chi non sa di cosa sto parlando: sono una serie di incontri dedicati all’ascolto e alla scoperta della musica italiana in vinile per il mercato tedesco e internazionale. esatto: l’ennesima scusa per giustificare i soldi e il tempo spesi tra negozi di dischi e mercatini. usando come spunto euro 2024 in germania, per l’ultima edizione dell’evento ho selezionato dalla mia collezione 14 canzoni italiane in cinque lingue europee: spagnolo, francese, inglese, tedesco e italiano.
il fatto
uno degli album che ho scelto per rappresentare la lingua inglese è in realtà un disco che più che all’inghilterra (dove comunque uscirà) era stato pensato apposta per il mercato statunitense: “images”, una raccolta di canzoni di lucio battisti del 1977.
un piccolo passo indietro
battisti era stato in viaggio negli usa due anni prima la pubblicazione di “images”. negli states entra in contatto con il funky, il soul e soprattutto la disco, e giustamente si appassiona. i risultati si vedono abbastanza in fretta: una volta tornato a casa s’inventa un pezzo house ante litteram e lo infila nel nuovo disco, “lucio battisti la batteria il contrabbasso eccetera”. già che si trova, nello stesso lp include anche la versione finita di una bozza venuta fuori durante il viaggio in america (titolo provvisorio: san diego freeway, titolo definitivo: ancora tu).
tutto molto bello?
più o meno. una delle conseguenze del viaggio negli usa è, appunto, “images”, nato da una proposta della rca di realizzare un album in inglese per far scoprire agli americani un assaggio dei grandi successi di lucio battisti. solo che la pronuncia dell’artista lascia a desiderare e i testi in inglese sono il prodotto di una traduzione un po’ forzata delle canzoni originali di mogol. morale: il disco è un flop, come commenterà anche lo stesso artista nella sua ultima intervista in assoluto.
wait a minute
che la pronuncia di battisti non fosse un granché ci può pure stare, dato che prima del viaggio americano la sua conoscenza dell’inglese era pari a zero, ma una domanda sorge spontanea: perché puntare su dei testi tutto sommato tradotti male?
mogol vs. mogol
la leggenda vuole che la causa delle traduzioni non eccezionali delle canzoni di mogol sia a conti fatti lo stesso mogol. pare infatti che la stesura dei testi fosse stata inizialmente affidata a marva jan marrow, artista statunitense che aveva lavorato a lungo in italia e che in passato aveva anche realizzato una cover in inglese de il nostro caro angelo. scontento della versione della marrow, però, sembra che mogol avesse deciso di cambiare idea e affidare una nuova traduzione, più letterale, a un altro autore: powell.
powell vs. powell
qui la questione si fa ingarbugliata. sul web si legge ovunque che la traduzione delle canzoni di “images” è di peter powell, anche se non si trovano da nessuna parte informazioni sul suo conto e nemmeno la striminzita pagina wikipedia a lui dedicata dà note biografiche sull’autore. siccome i credits del disco non aiutano (citano “powell” e basta, senza specificare un nome), provo a dare un’occhiata all’archivio siae.
la siae effettivamente riporta come autore dei testi un tale “peter john powell”, uno che, oltre alle canzoni in inglese per battisti, compare anche nei credits di tennessee moon, brano dell’artista country texano bill morgan. riprendo la ricerca da capo, ma niente: di peter john powell o peter powell o pete powell, come si legge un paio di volte su discogs, non si sa nulla. tra l’altro, non si sa quasi nulla neanche di questo bill morgan, ma questa è un’altra storia.
già che mi trovo su discogs, provo a controllare tutti i risultati disponibili di “images” e la ricerca prende una piega inaspettata: in un paio di casi i crediti delle traduzioni sono collegati al profilo di un altro autore, che di nome fa don e di cognome fa ovviamente powell (quello nella foto di copertina della newsletter è lui). nato a los angeles, ma trasferitosi in italia dove rimarrà fino alla morte, don powell ha lavorato negli anni sessanta con la dischi ricordi, collaborando con lo stesso mogol per ben undici canzoni, a detta dell’archivio siae. la pagina wiki dedicata a don powell, intanto, non cita manco di striscio il disco “images”.
e mo?
considerando che né wikipedia né discogs sono fonti attendibili e non sono riuscito a trovare da nessun’altra parte una conferma ufficiale, la questione rimane aperta. l’ipotesi che sia stato don il powell a cui mogol ha affidato le famose traduzioni è possibile, così come è possibile che peter john sia uno pseudonimo, ma allora perché mai non scegliere un alias anche per il cognome? e perché inserire solo “powell”, senza il nome, nei credits del disco? se invece i testi in inglese non sono di don, chi diavolo è questo peter john, da dove sbuca fuori e perché mogol è andato a pescare un tizio che, a quanto pare, prima di quel momento aveva collaborato solo con il misterioso bill morgan?
purtroppo, giulio rapetti, che potrebbe serenamente rivelarci chi sia il powell in questione, non è iscritto a telegrammy. però magari tu che stai leggendo sei in contatto con mogol, con gli eredi di peter/peter john/pete/don powell, con grazia letizia veronese e il figlio di battisti o sei semplicemente in fissa come me per minchiate del genere. in uno qualsiasi dei casi appena citati, se scopri qualche dettaglio in più su questa storia, scrivimi pure a hellotelegrammy@gmail.com o semplicemente rispondi a questa mail. se invece ti serve una traduzione in inglese di un testo o di una canzone, eviterei di parlarne con mogol. stop.
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