Centralini: telegrammy chiama i Tapir!
un'intervista-viaggio in tre atti alla scoperta di un disco-viaggio in tre atti
foto di sebastian garraway
centralini è grandi artisti e interviste (più o meno) piccolissime. esatto: una scusa per parlare a telefono con le autrici e gli autori dei dischi che mi piacciono. e il giovane holden muto.
non ricordo se ho mai detto che le listone di fine anno mi piacciono molto. leggo tutte quelle che mi capitano sottomano e faccio una selezione delle mie preferite, in ciò che potremmo serenamente definire una listona delle listone di fine anno. ora che a quelle di fine anno si stanno aggiungendo anche quelle di metà anno, io non posso che esserne felice e allora fatemene consigliare subito una e due prima che mi dimentico.
non ricordo se mi è mai capitato un anno in cui, in piena sbornia da listone del dicembre passato, ho pensato che due dischi usciti a gennaio sarebbero già entrati a gamba tesa in una mia listona di inizio, metà, fine anno, quello che vi pare.
del primo - “iechyd da” di bill ryder-jones - ho avuto il piacere di parlarne direttamente con l’autore (e con patrick). del secondo - “the pilgrim, their god and the king of my decrepit mountain” dei tapir! - ho avuto il piacere di parlarne addirittura con due dei sei autori (ma a sto giro senza patrick): ike gray, voce e chitarra, e will mccrossan, tastiere e drum machine.
il brillante esordio del sestetto londinese - per cui potremmo chiamare in causa i black country, new road, i radiohead e i fleet foxes - riesce in una cosa non proprio semplicissima: ti arriva con immediatezza nonostante una certa complessità di base, complici un gran gusto per le melodie e una narrativa molto particolare. la storia del viaggio di pilgrim, la misteriosa creatura rossa in copertina, si sviluppa in un mondo bizzarro e fiabesco, lungo i tre atti che compongono il disco e che vanno a formare il titolo dell’opera.
per questo episodio di centralini, l’intervista non poteva che trasformarsi in un altrettanto viaggio in tre atti, popolato da creature più o meno fantastiche che aiuteranno ike e will a procedere nel loro percorso e che aiuteranno noi a capire qualcosa in più di questo magico cammino dei tapir!, che tutto sommato è appena all’inizio. stop.
atto 1 (la montagna)
il vostro viaggio comincia in una terra lontana: il giappone. ad accogliervi ci sono matsuo bashō, celebre poeta dell’epoca edo, e il regista hayao miyazaki.
i testi del vostro disco mi hanno fatto pensare agli haiku e ai film dello studio ghibli, per il loro essere quasi dei frammenti poetici, tra il magico e il folclorico, con riferimenti alla natura e agli animali. qual è una storia, un cartone animato o un racconto a cui assocereste il vostro album?
ike e will: forse alla ricerca di nemo. perché parla di andare via, di lasciare la tua comfort zone per esplorare l’ignoto e poi tornare a casa, che se vogliamo è un po’ il tema di fondo dell’album. la differenza più grande rispetto al cartone è che però quello di pilgrim è un racconto che non ha una narrativa ben definita né una conclusione. di fatto, l’immaginario del disco non nasce da un’idea scritta, ma viene fuori da alcuni dipinti realizzati prima di avere le canzoni pronte. per restare in tema haiku: il più delle volte la storia si intuisce da poche parole o una manciata d’immagini, senza soffermarsi troppo sui dettagli.
bashō e miyazaki vi consegnano una bellissima illustrazione di moebius: uno scorcio del golfo di napoli con l’inconfondibile profilo del vesuvio. vi mettete in cammino per l’italia.
nei vostri testi, ma direi nella visione dei tapir! in generale, c’è spesso un atteggiamento giocoso e sfrontato, quasi a voler bilanciare certi riferimenti più ricercati, come eidolon o gymnopédie. a proposito di irriverenza: nei ringraziamenti sul retro del vinile citate anche “the man who punched me in naples” e a me piacerebbe sapere tutto di questa storia.
ike: è successo tre anni fa. ero già stato a napoli, ma avevo pensato di tornarci da solo ed era la prima volta che partivo in solitaria. il viaggio in sé è stato fantastico: ho camminato tantissimo e fatto anche un’escursione sul vesuvio. molti elementi della narrativa del disco, incluso l’immagine della montagna, sono legati a quei momenti lì. poi il giorno del mio compleanno sono andato a prendere qualcosa da bere con delle persone che ho incontrato in città. era verso la fine del lockdown, non si poteva stare ancora dentro i locali, ma mi sono trovato a chiacchierare con dei ragazzi di fronte a un bel bar che era anche un negozio di dischi. all’inizio c’era un’atmosfera molto rilassata, poi a un certo punto uno di loro ha provato a vendermi della droga e quando io ho rifiutato di comprarla si è alterato e mi ha dato un pugno in faccia. mi divertiva l’idea di citare quest’episodio nei ringraziamenti del disco: volevo tanto fare riferimento a napoli, che per me ha una connessione molto forte con il momento in cui è venuta fuori l’idea dell’album, e quello mi sembrava un modo ironico per farlo.
c’è un altro dettaglio irriverente legato all’italia di cui vorrei sapere di più. mi riferisco al link nascosto nella sezione contatti del vostro sito, che rimanda a una pagina ebay con una serie di annunci di forme di parmigiano reggiano.
ike e will: no vabbé, ci eravamo assolutamente dimenticati di questa cosa: non avremmo mai pensato che qualcuno avrebbe cliccato quel link! quando stavamo realizzando il sito, che come hai visto si basa molto anche su elementi disegnati, avevamo voglia di aggiungere un dettaglio stupido, senza senso, per il gusto di farlo. così, accanto ai contatti dei social e del nostro profilo bandcamp, abbiamo pensato di mettere anche questa piccola icona di un formaggio. tutto qua.
atto 2 (la taverna)
le avventure italiane vi hanno messo a dura prova, ma sulle pendici del vesuvio vi è arrivata un’illuminazione: il vostro è un viaggio di ritorno verso casa. vi dirigete verso nord, passate il canale della manica e non appena mettete piede in inghilterra ci sono tre figure ad aspettarvi: gli honeyglaze. uno di loro, yuri shibuichi, vi svelerà la prossima tappa del cammino.
mi ha incuriosito questa storia di yuri shibuichi, produttore dell’album, che in fase di registrazione vi esortava ad agire più d’istinto, a non rimuginare troppo. come è stata l’esperienza in studio?
ike e will: l’approccio di yuri ci ha aiutato molto a finalizzare il disco. quando si è in tanti a far parte di un progetto, avere qualcuno come lui, capace di farti arrivare al punto, è importante, perché altrimenti potresti continuare all’infinito. se da un lato abbiamo dedicato molto tempo a sviluppare gli elementi principali dell’arrangiamento e tutta la narrativa dell’album, spesso siamo arrivati da yuri con canzoni finite a metà ed è stato utile trovarsi a dover fare delle scelte senza pensarci troppo su, a prendere una strada e vedere dove ti porta. c’è tanto di questa immediatezza anche nell’estetica del gruppo, tra i video e le opere d’arte dedicate al mondo di pilgrim.
yuri vi consegna una foto: è uno vecchio scatto di fine anni sessanta di un pub londinese che vi sta particolarmente a cuore. senza esitare un istante, vi dirigete verso la george tavern.
la george tavern, dove avete suonato per la prima volta dal vivo come tapir!, ha qualcosa in comune con tanti altri club europei, penso al night & day café di manchester o il molotow di amburgo: negli anni ha rischiato più volte di chiudere, spesso a causa di progetti edilizi che mirano ad abbattere gli edifici che ospitano i club per poi costruire appartamenti o alberghi. parliamo delle sfide dell’industria musicale dal vivo: secondo voi, cosa funziona e cosa no?
ike e will: la george tavern è stato un punto di riferimento per i tapir! e i nostri amici, perché ci ha dato un’opportunità concreta di sviluppare le nostre idee in modo molto spontaneo. avere un posto dove poter organizzare eventi e incontrare altra gente è fondamentale. perché anche se londra è una vetrina perfetta per chi fa musica dal vivo, ha anche un lato molto individualista e tutto orientato alla macchina del business con cui non è facile fare i conti.
questo mi sembra un tema centrale nel contesto di londra, me ne parlavano anche le creole cuts.
ike and will: la contraddizione di fondo è che gli artisti arrivano in città attratti dalle mille opportunità che offre e dall’idea di poter fare parte di una grande comunità, per poi trovarsi di fronte un contesto che ti spinge a isolarti e a trasformare la tua passione in un business. a dover crescere, crescere, crescere a tutti i costi. c’è qualcosa di malato in quest’idea della crescita ossessiva, che vale per gli artisti quanto per i locali, costretti a chiudere o a fare scelte mirate unicamente al profitto e al bisogno di espandersi sempre di più. credo invece che sarebbe importante avere degli spazi finanziati, in cui gli artisti possano esprimersi liberamente, senza questa pressione di dover raggiungere chissà quale fama. non tutti hanno l’obiettivo di fare musica per raggiungere un successo enorme: molti preferirebbero avere un luogo di riferimento nel proprio quartiere in cui poter condividere con gli altri la propria creatività.
a questo proposito: come ve la cavate voi, band di sei elementi, dal punto di vista finanziario quando siete in tour? ultimamente si è scritto abbastanza nella stampa inglese riguardo le difficoltà economiche legate alla musica dal vivo.
ike e will: più si parla e si scrive di questo tema in modo trasparente e meglio è, perché la situazione è veramente drammatica. noi abbiamo calcolato che alla fine del tour che ci aspetta avremo una perdita di circa 8,000 sterline, che è una cosa veramente insensata. c’è una differenza enorme tra i salari degli impiegati nell’industria musicale e quello che guadagnano gli artisti ed è arrivato il momento di capire concretamente come cambiare questo aspetto. perché suonare dal vivo a queste condizioni non è sostenibile o diventerà qualcosa che può permettersi solo chi è indipendente dal punto di vista economico.
atto 3 (la maschera)
siete di fronte alla george tavern, di nuovo a casa. oltrepassate l’ingresso, ma al posto del bancone, dei tavoli e delle sedie, trovate uno specchio. riflessa sulla sua superficie non c’è la vostra faccia, ma una maschera rossa che vi è molto familiare.
la figura di pilgrim è centrale nel vostro progetto. ci avete costruito attorno tutto l’immaginario del disco e le maschere di cartapesta vi accompagnano anche nei video e nei concerti. il che è fantastico, perché ha un impatto molto forte e immediato. non avete paura che a lungo andare potrebbe diventare troppo predominante e che in futuro la maschera potrebbe trasformarsi in una trappola?
ike: se devo essere onesto, io già ora mi ci sento abbastanza intrappolato. l’immagine di pilgrim non è stata sempre così centrale per il gruppo. adesso ha sicuramente sviluppato un’identità più forte, ma probabilmente non sarà protagonista del prossimo lavoro. non so dirti ancora se il nostro secondo disco non avrà niente a che vedere con pilgrim in assoluto, ma in ogni caso dubito che avrà lo stesso ruolo che ha avuto in quest’album. diciamo che pilgrim non muore dopo questa prima avventura, ma per il momento si prende una bella pausa e poi si vedrà.
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