Centralini: telegrammy incontra Bill Ryder-Jones
cartoline da west kirby e altri luoghi fantastici
foto via @bryderjones
centralini è grandi artisti e interviste piccolissime. esatto: una scusa per parlare a telefono di persona con le autrici e gli autori dei dischi che mi piacciono. e il giovane holden muto.
seduti su un divanetto rosso di pelle dell’hafenklang di amburgo ci sono due delle 13mila anime della piccola località costiera di west kirby, nel wirral: un fazzoletto di terra rettangolare nel nord-ovest dell’inghilterra, incastonato tra il galles e il porto di liverpool. il primo wool - termine un po’ spocchioso con cui gli scousers chiamano gli abitanti del wirral - è patrick, mio amico e collega di lavoro. il secondo è bill ryder-jones, uno che, tra le altre cose, ha co-fondato i coral e pubblicato una serie di album stupendi da solista - l’ultimo dei quali, “iechyd da”, a gennaio. un disco che tra folk ruvido e melodie cristalline, archi elegantissimi e cori di bambini, non ha una canzone una che vale la pena saltare.
quando mi sono messo in testa di voler intervistare bill ryder-jones avevo solo una certezza: coinvolgere patrick. perché è lui che mi ha nominato per la prima volta il nuovo album e spiegato il significato del titolo in gallese (“buona salute”, usato sia per i brindisi che come augurio). perché nel suo spotify wrapped annuale bill-ryder jones (che patrick supporta anche su patreon) e i coral occupano fissi due posizioni della top five (gli altri sono i pulp, gli high vis e - giuro - i righeira). perché, semplicemente, l’idea di imbucare un amico a scambiare due chiacchiere col suo artista preferito è una di quelle cose per cui vale la pena mettersi a fare una newsletter di musica.
seduti su un divanetto rosso di pelle dell’hafenklang di amburgo, dicevo, ci sono patrick e bill ryder-jones mentre gli scatto una foto a intervista finita. in pieno stile centralini, anche la chiacchierata con il musicista di west kirby si è basata su un format pensato apposta per l’artista in questione. considerando che l’idea di casa ha un ruolo centrale in “iechyd da”, fin dal quadro usato per la copertina, ma che casa è un concetto che nel tempo può rappresentare luoghi e significati diversi, abbiamo deciso di fare così: abbiamo ideato e poi stampato sei cartoline, ognuna legata a una diversa “casa” di bill ryder-jones, e gliele abbiamo consegnate di persona. sul retro di ogni cartolina, invece dei classici saluti, c’era una domanda dell’intervista. ah, nell’ultima puntata del podcast friday. trovate anche un piccolo contenuto bonus.
buona lettura, anzi già che ci siamo: buona salute. stop.
saluti da moel famau, galles
da moel famau, primo singolo che hai pubblicato per la domino nel 2011, all’ultimo “iechyd da”, il galles è una presenza costante nella tua musica. come cézanne che negli anni ha dipinto tante versioni diverse della stessa montagna, ti chiediamo ora di fare la stessa cosa con la collina gallese protagonista di quel tuo primo brano. immagina di dover registrare di nuovo moel famau oggi: cambierebbe qualcosa?
questa è una domanda difficilissima. a parte che dovrei ascoltarla di nuovo ché non lo faccio da anni. aspe’ che la metto un secondo [mette moel famau dal telefono e la ascolta per un po’]. forse la tentazione sarebbe di coinvolgere più musicisti, dato che qui avevamo chiamato giusto una violoncellista a fare un paio di sessioni in studio, ma la verità è che di questo pezzo in particolare credo che non cambierei nulla. perché mi piace l’idea di questa traccia di violoncello molto grezza che non segue il metronomo. qui volevo ricreare un’atmosfera un po’ fangosa, una sorta di rappresentazione sonora di una montagna, appunto.
detto ciò, una cosa che sicuramente è cambiata negli anni è il mio approccio alla musica in generale. ora non ho più la “sindrome dell’impostore”: so bene quello che faccio e lavorare con la musica non mi stressa più come un tempo. non voglio dire che prima c’era una certa “ingenuità” che poi ho perso, perché comunque già suonavo da un sacco di tempo, ma l’idea di pubblicare qualcosa da solo per la prima volta mi intimidiva parecchio. questa paura di non sapere se ciò che stavo facendo era buono oppure no, che da un lato forse è anche ciò che mi ha spinto a migliorare, adesso è sparita del tutto: è una sensazione bellissima.
saluti da leeds, yorkshire
parliamo del tuo lavoro da producer. tra le tante collaborazioni, c’è anche quella con una delle band di leeds più chiacchierate del momento: gli yard act. quanto il mestiere del produttore ha influenzato il tuo nuovo disco?
direi tantissimo. già solo per il fatto che l’idea di dedicarmi con “iechyd da” a canzoni un attimo più positive rispetto al mio solito mi sia venuta chiacchierando con mick head, mentre lavoravo alla produzione del suo “dear scott”. poi di nuovo: è un aspetto che mi ha aiutato ad avere più sicurezza in me stesso. chi viene a registrare da me ti assicuro che non lo fa per lo studio, che alla fine è una stanza un po’ di merda, ma perché apprezza il mio lavoro. anzi, magari si aspetta proprio che sia io ad occuparmi, che so, degli arrangiamenti degli archi e dei fiati o di aggiustare il finale di un brano. un gesto del genere è gratificante e ti spinge a dedicare tutto te stesso al progetto, per essere all’altezza di quell’atto di fiducia. ancora di più quando sai che a venire da te sono artisti che non hanno una casa discografica alle spalle e si stanno autofinanziando il disco.
saluti da liverpool, merseyside
hai menzionato michael head, altro grande artista con cui hai collaborato come produttore e che è anche la voce narrante nella tua …and the sea… - come vi siete conosciuti?
la prima volta che ho visto mick era a un festival: io ero lì a suonare con i coral e lui - che per noi era una specie di figura mitologica - era con gli shack. però è stato qualche anno più tardi, quando ha iniziato il progetto della red elastic band, che l’ho conosciuto davvero. io al tempo avevo una sala prove sulla parliament street a liverpool e non ricordo bene come, ma una sera dopo un paio di birre finimmo per andare là a suonare qualche canzone insieme. mick stava pensando di mettere su un gruppo con quelli che riteneva i migliori musicisti del momento. mi disse che aveva chiesto in giro chi fosse il più bravo chitarrista in circolazione e che gli era stato fatto il mio nome, quindi mi propose di entrare a far parte della red elastic band. per me non era un buon momento: avevo lasciato i coral da un annetto e non mi ero ancora ripreso del tutto, quindi gli dissi che non se ne faceva nulla.
lui però non mollava e per provare a convincermi disse che aveva parlato con steve pilgrim - un batterista pazzesco che ora suona con paul weller e al tempo era negli stands - e che steve gli aveva confessato che avrebbe fatto parte del gruppo solo se ci fossi stato anch’io. peccato che poi steve mi ha chiamato dicendo che mick head gli aveva proposto di entrare nella band e che io ne avrei fatto parte solo se ci fosse stato anche lui. quel maledetto aveva detto a tutti la stessa cosa nella speranza di coinvolgere i suoi musicisti preferiti nel progetto, ma non ha funzionato.
saluti da west kirby, wirral
nelle tue canzoni ci sono tantissimi riferimenti a west kirby, casa tua. l’ultimo disco non fa eccezione, come nel caso del marine lake, che hai scelto per la copertina di if tomorrow starts without me e che compare in un verso di thankfully for anthony. immagina di dover pubblicare un ep di 4 canzoni dedicato a west kirby e al wirral: che posti sceglieresti e perché?
la prima canzone la dedicherei al white lion, che è un piccolo pub meraviglioso in cui vado spessissimo, perché lo adoro cazzo. poi direi un’altra sulle tre isole di fronte a west kirby - little eye, middle eye e hilbre - che si possono raggiungere a piedi con la bassa marea. si dice che dei contrabbandieri avessero costruito dei tunnel che connettevano l’isola di hilbre a de grouchy street, l’unica street di west kirby: tutte le altre strade del paese sono o avenue o road.
ah ecco, il terzo pezzo sarebbe proprio su de grouchy street, che pure ha una storia pazzesca. la strada è dedicata a un tale philip de gruchy, un uomo dell’isola di jersey che nell’ottocento ha costruito le mura attorno a west kirby. la leggenda vuole che il simbolo di un cuore a testa in giù che si vede in un punto delle mura sia stato inciso da de gruchy per una delusione d’amore con una donna del paese.
poi chiuderei con un brano sulla spiaggia di caldy beach, una piccola gemma nascosta dove tra l’altro ho passato un sacco di tempo a fare musica coi ragazzi dei coral. perché in estate la gente che viene da altri posti del wirral, da liverpool o altre città vicine affolla la spiaggia principale di west kirby, allora la gente del posto preferisce spostarsi nella più tranquilla e isolata caldy beach. un fenomeno su cui forse varrebbe la pena scrivere una canzone.
saluti da roma, italia
hai scelto un quadro con una casa per la copertina di “iechyd da”, allora qui hai un quadro di roma a rappresentare l’italia, che per qualche tempo è stata anche casa tua. dov’eri di preciso e com’è stata l’esperienza italiana?
al tempo ero fidanzato con una ragazza che studiava italiano e studi classici e che per un progetto dell’università ha insegnato per un po’ in italia. quindi mi sono trasferito con lei in un piccolo paesino non lontano da parma per circa otto, nove mesi. era il periodo in cui avevo lasciato i coral per la prima volta: non stavo bene, volevo solo stare lontano dall’inghilterra e mi piaceva il fatto di vivere lì senza saper parlare la lingua del posto. ho fatto tante lunghe passeggiate nei dintorni: la valle del po con tutta quella nebbia è così cinematografica… è lì che ho letto per la prima volta se una notte d’inverno un viaggiatore, che ha poi ispirato il disco “if…”.
saluti da rio de janeiro, brasile
a parte il sample di gal costa, in “iechyd da” si avverte una forte saudade, che però viene stemperata da una visione positiva, “una specie di gioia un po’ strana”, come hai detto tu riferendoti alla musica che ti fa stare bene. cos’è che ti ha aiutato a superare i momenti difficili di cui parli nel disco?
oltre alla musica? ho la fortuna di suonare con due dei miei migliori amici, liam power e nathaniel lawrence, che sono anche di grande supporto dal punto di vista della salute mentale. poi fare psicoterapia è veramente una cosa meravigliosa. vorrei poter dire lo stesso del calcio, ma essere fan dell’everton non ha decisamente aiutato.
telegrammy è grandi dischi raccontati con testi piccolissimi. musica e parole selezionate con cura. telegrammy non è sui social. se sei qui è grazie (ai tuoi gusti musicali pazzeschi e) al passaparola. per inviare i telegrammy a chi vuoi bene inoltra questa mail o manda questo link. stop.
Meravigliosa intervista, grazie, grazie, grazie!
Colpaccio! Grandi!
Bella intervista, mi aiuterà ad apprezzare ancora di più "iechyd da" che ho preso in vinile qualche settimana fa :-)
Grazie per la condivisione!