la parola forestiero ha a che fare con foresta, che a sua volta ha a che fare con il latino foris, che a sua volta ha a che fare con l’estraneità, la lontananza e l’ignoto. foresta era la terra distante, che si trovava al di là delle mura della città; forestiero era colui che veniva da fuori.
se penso alla foresta ho due immagini che mi vengono in mente senza ragionarci troppo: la selva oscura della divina commedia e “woods”, ottavo episodio della seconda stagione di atlanta (serie che non mi stancherò mai di citare abbastanza).
come dice la treccani, la distinzione tra selve, foreste e affini non è proprio semplicissima, ma tanto nell’opera di dante che in quella di donald glover il significato rappresentato da questo luogo-simbolo è lo stesso: per cambiare, per ritrovare la luminosa e “diritta via”, il protagonista della storia deve letteralmente attraversare la fitta vegetazione dei suoi demoni e delle sue paure, ovviamente di notte.
da quando i giorni hanno cominciato ad accorciarsi e go dugong e washé hanno pubblicato il teaser video che anticipa il loro album registrato nell’amazzonia venezuelana, il suono della foresta è entrato quasi per magia nei miei ascolti quotidiani, materializzandosi in una scoperta del tutto casuale: il nuovo disco di terror/cactus.
“forastero” è chancha via circuito che si perde nel bosco mentre è alla ricerca di lido pimienta. è elettronica mistica e cumbia allucinogena. è un viaggio musicale e personale che il producer argentino-americano ha sentito il bisogno di intraprendere per arrivare alle radici della sua identità di eterno forestiero a casa propria: una sensazione che chi ha lasciato il proprio paese per andare a vivere all’estero o è cresciuto in una famiglia multiculturale conosce fin troppo bene.
ecco che la foresta diventa metafora per eccellenza dell’esplorazione di sé: una dimensione in bilico tra realtà e immaginazione, passato e presente, musica popolare e 808, in cui è essenziale smarrirsi per potersi ritrovare.
poi oh, neanche il tempo di capire se quello che apre le danze di espejismo è solo un riff geniale o un incantesimo a tutti gli effetti che è già troppo tardi: una volta messo piede nel tunnel di “forastero”, bisogna mettersi l’anima in pace e, più o meno come diceva il poeta, lasciare ogni speranza di abbandonare questo disco dopo un ascolto soltanto. stop.
p.s. a proposito di elettronica e musica tradizionale: nell’episodio della scorsa settimana di
di roberta cavaglià (che ora collabora anche con ) c’è una piccola incursione spagnola di telegrammy che credo i fan di daniela pes apprezzeranno particolarmente.telegrammy è grandi dischi raccontati con testi piccolissimi. musica e parole selezionate con cura. telegrammy non è sui social. se sei qui è grazie (ai tuoi gusti musicali pazzeschi e) al passaparola. per inviare i telegrammy a chi vuoi bene inoltra questa mail o manda questo link. stop.
Fun fact linguistico: in ligure si usa ancora la parola "foresti" (e lo so perché sono piemontese :))