mia nonna non diceva leggero. diceva leggiero, scandendo bene la i di troppo, in un miscuglio di italiano e dialetto che a usarlo in un tema scolastico scatenerebbe un inferno di matite blu, ma che a me faceva impazzire. nella mia testa i due aggettivi hanno finito per assumere un significato leggermente diverso, come se quell’aggiunta un po’ insolente della i caricasse la parola di tutta la spontaneità, spensieratezza e leggerezza di mia nonna, non so se mi spiego.
in primavera ho visto adrianne lenker dal vivo e sono uscito dal concerto con un animo leggiero, con la testa fra le nuvole e anything che suonava forte dagli speaker scrausi del telefono a farmi compagnia nel tragitto verso casa.
non direi che il disco di merce lemon è leggero, affatto. ma è un disco che desidera fortemente di sentirsi leggiero, come dopo un concerto di adrianne lenker.
ho detto adrianne lenker, ma forse dovevo dire mj lenderman, considerando che “watch me drive them dogs wild” e “manning fireworks” hanno in comune il produttore (alex farrar, che ha lavorato anche a “rat saw god” dei wednesday) e una manciata di musicisti. musicisti che, in entrambi gli album appena citati, suonano una serie di strumenti che già solo a nominarli sembrano evocare un sintomatico mistero folk: pedal steel guitar, fiddle e il fantomatico bojo (qui qualche indizio al riguardo).
nel caso del disco di merce lemon, gli strumenti in questione avvolgono con un’aria sognante, quasi magica, la chitarra acustica scarna della cantautrice di pittsburgh e quelle immagini così nitide e poetiche, anche un po’ ingenue, che popolano le sue canzoni.
c’è lei che sogna di avere le ali e di volare tra gli alberi e le ali diventano pinne quando si tuffa nell’oceano e comincia a nuotare. c’è la voglia di correre all’impazzata su una lunga strada deserta e un paradiso da vedere ad occhi chiusi, dove abbondano i mirtilli sui rami e il cui ingresso è protetto dalle anatre. c’è tanto dolore trattato con grazia e c’è una luce che s’intravede per ogni stanza buia in cui ci si ritrova. una luce che tutto sommato non dovrebbe essere lì, eppure la percepisci e fa la differenza. come una i di troppo in una parola sbagliata ma leggera. anzi leggierissima. stop.
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