quella degli italiani all'estero è una comunità complessa e piena di contraddizioni. anche se da fuori siamo visti come un blocco monolitico di gesticolatori seriali, ciò che davvero accomuna noi expat al netto delle mille differenze è il contatto dall'italia per farsi spedire l'olio buono e un idioma a metà strada tra l'italiano e la lingua locale. in entrambi i casi il risultato è lo stesso: una gran bella insalata.
il lato peggiore di questa rigidità del palato e flessibilità linguistica viene fuori nelle filippiche sulla pizza con l'ananas (a cui veramente non frega nulla a nessuno) e in certe milanesate tarocchisime (briffami). la parte migliore coincide con un commovente effetto ratatouille ogni volta che arriva il pacco da giù e una manciata di parole più o meno intraducibili che per qualche strano motivo suonano bene anche nel contesto di una lingua diversa.
l'esordio della ventenne hannah jadagu per la sub pop non c'entra niente con gli italiani all'estero e l'olio extra vergine di oliva, ma è un grower album - più che un flechazo - che mi ha conquistato un ascolto alla volta per il suo essere così soothing e posato, onesto e nostalgico. come un buon disco pop che si rispetti, ma con risvolti quirky e inaspettati, costruiti su una miriade di spunti musicali in pieno stile onnivoro da gen z. arlo parks, clairo, il king krule meno ruvido, beabadoobee, phoebe bridgers, jay som, i vampire weekend.
una gran bella insalata. stop.
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