fine agosto 2021. tra una variante di covid e l’altra, l’etichetta amburghese kabul fire records annuncia un po’ a sorpresa un dj set in uno spazio all’aperto di un quartiere industriale a sud della città. io che sono a rota di concerti e in fissa da settimane con “kabul fire vol. 2” di farhot, il fondatore della label, vivo la notizia come se kendrick lamar avesse appena comunicato al mondo intero che sì, proprio così, ha pensato di eseguire gratis tutto “to pimp a butterfly” dal vivo, nel parco di fronte casa mia. (kenny, sei sempre in tempo eh).
la sera dell’evento c’è una strana elettricità nell’aria: un misto di entusiasmo, un pizzico di ansietta e la sensazione assurda, illogica e ingiusta di stare quasi facendo una roba ai limiti della legalità - che oggi è permessa, domani chissà. soprattutto, c’è una gran voglia di leggerezza: dopo mesi di restrizioni, isolamento e progetti streaming che avrebbero dovuto rivoluzionare l’industria musicale (e invece no), mi ritrovo in mezzo a un gruppo di persone in carne e ossa che vogliono soltanto reimparare a sculettare mentre le casse pompano shitsville di freddie gibbs e madlib.
ecco, a proposito di madlib e azioni un po’ furtive: nonostante la molto rossa (e molto bella) copertina del nuovo “stealing from cats”, a voler indagare sui piccoli furti di farhot agli amici jazzisti ci troveremmo piuttosto a fare i conti con una passione dichiarata per “shades of blue”. se l’arte del campionamento aveva però un ruolo di primissimo piano nel precedente album del producer tedesco-afgano (la celebrazione del sampling era di fatto il cuore dell’intero progetto), qui diventa uno strumento quasi invisibile. è l’eleganza e l’astuzia con cui il ladro gentiluomo porta a casa la rapina perfetta nello stupore generale, senza il fastidio di finire in galera.
a questo punto verrebbe da chiedersi - come tra l’altro avevano già fatto freddie gibbs e madlib - se tutto sommato il crimine paga. dipende, direi io: considerando il tipo di refurtiva con cui abbiamo a che fare, forse a questo giro siamo noi che dovremmo pagare. stop.
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