Centralini: telegrammy chiama Populous
monopoly popy: un'intervista ma anche un gioco da tavolo
foto di piero percoco (@therainbow_is_underestimated)
centralini è grandi artisti e interviste (più o meno) piccolissime. esatto: una scusa per parlare a telefono con le autrici e gli autori dei dischi che mi piacciono. e il giovane holden muto.
ascoltare “isla diferente”, il nuovo disco di andrea mangia aka populous aka popy, passando per la isla diferente in apertura è un po’ come finire invischiati nell’universo di jumanji. al posto delle belve feroci e della giungla, qui ci si ritrova catapultati con eleganza in una dimensione onirica e lisergica, sospesi tra i paesaggi incontaminati della lanzarote che ha ispirato l’album e l’elettronica apolide del producer pugliese.
a proposito di jumanji e musica che travalica i confini, per questo nuovo episodio di centralini l’intervista diventa una specie di gioco da tavolo: monopoly popy è cinque mercati discografici da conquistare con altrettante canzoni scelte tra gli album di populous. una scusa per ripercorrere le influenze più disparate che hanno ispirato l’artista da “night safari” fino all’ultima “isla diferente”, che tra latin music, glitch e ambient proietta l’ascoltatore in un trip liberatorio ma anche emozionale (su suelta giuro che non mi sono commosso, è che mi entrato il primo disco di sofia kourtesis nell’occhio).
come tutti i giochi da tavolo che si rispettano, anche monopoly popy ha il suo dado da lanciare, uno per ogni mercato discografico da conquistare: se esce 1 o 2 il pezzo scelto sarà un flop, con 3 e 4 diventerà un culto di nicchia, con 5 e 6 sarà un successone. infine, populous potrà usare in una sola occasione un bonus per raddoppiare il punteggio, potendo così trasformare un potenziale fiasco in una hit.
cominciamo dall’america del sud: tratratrax ti contatta perché vuole pubblicare un remix di un tuo pezzo da “moonbatons”. quale sceglieresti, da chi lo faresti remixare e perché?
se deve andare su tratratrax sceglierei sapo e la farei remixare a nick león. perché a parte che mi piace quello che fa nick león, forse quel brano in particolare è uno dei pochi miei che hanno una declinazione un po’ più scura, che si adatterebbe meglio all’estetica di un’etichetta come tratratrax, che è sì latina, ma che di base ha uno spirito molto dark industrial. anzi, sai cosa? mi sto scrivendo un sacco con lila tirando a violeta e ci siamo promessi di fare qualcosa insieme: a questo punto sceglierei lei.
cosa ne pensi in generale di tratratrax? nel bell’approfondimento di rimbalzati al berghain dedicato alla label, bawrut e giovanni coppola fanno notare come nonostante il grande successo in europa, c’è chi in colombia storce il naso.
non mi sorprende che tratratrax abbia più successo in europa piuttosto che in colombia: stiamo parlando di gente che è cresciuta ascoltando gli autechre, aphex twin, la warp, la rephlex e tutta quella roba là. poi è vero che se vai a bogotà o città del messico sentirai ovunque cumbia, reggaeton eccetera, ma non è musica che ritrovi nei contesti più underground. non dobbiamo commettere l’errore di pensare che queste produzioni lì siano lo standard solo perché vengono da un’etichetta latinoamericana.
l’intuizione di tratratrax è stata declinare in chiave rave illegal la musica latina che rave non lo è mai stata. ecco, questo è un aspetto che mi piace molto, anche perché mostra i limiti di chi secondo me in passato ha usato impropriamente la definizione di appropriazione culturale per gli artisti europei che si sono ispirati ai ritmi latini e non solo. quando io, clap! clap! e khalab abbiamo iniziato a mischiare un po’ di robe, c’è chi in italia ha tirato in ballo questa cosa, tant’è che quando ho iniziato a suonare in sudamerica spesso mi veniva da chiedere agli artisti locali se si sentissero offesi in qualche modo dalla musica che producevo. invece un fenomeno come quello di tratratrax, dove sono producer latinoamericani a confrontarsi con un linguaggio non propriamente loro - la musica elettronica europea degli anni 90 - mi ha convinto che è proprio questo ciò che deve succedere: l’innovazione, l’evoluzione passa dalla contaminazione e omaggiare non equivale a rubare qualcosa.
detto questo, ascoltando le ultime uscite di tratratrax mi viene da pensare che forse stanno puntando un po’ troppo sui suoni più violenti e distorti - che mi piacciono eh, però non vorrei che finisse solo là: nell’ultima compilation la maggior parte dei pezzi erano tipo bloody beetroots in versione reggaeton. invece adoro l’ep di wost. ecco lui è il giusto equilibrio tra groove e impatto.
e sul bellissimo ep di wost direi di lanciare il primo dado… 5! il remix di sapo conquista il mercato sudamericano.
la seconda tappa è l’asia: andrea carrucciu, protagonista del video con cui hai trasformato “stasi” in una sessione di meditazione, è stato invitato a un festival di qi gong a shangai dove avrà la possibilità di presentare un solo pezzo dall’album. quale?
“stasi” è un omaggio a tutta la musica trip hop che ho ascoltato nel corso degli anni e che volevo traslare in una chiave un po’ più atmosferica e ambient. se devo pensare a un pezzo che unisca bene questi due mondi forse sceglierei pietre roventi, perché mi sembra il giusto mix tra zen e la scena di bristol.
“stasi”, come d’altronde tutti i tuoi album, prende forma all’interno di una cornice ben definita. quanto vale per te il concept di un disco?
voglio fare una premessa: io non mi sono mai considerato un musicista. non sono in grado di suonare nessuno strumento in maniera degna di essere definita tale. mi sono laureato in musicologia all’università, ma preferisco definirmi un appassionato di musica. amo le idee che ci sono dietro i dischi: come vengono registrati, che tecniche hanno usato - che poi era proprio il tema della mia tesi di laurea: “estetica della registrazione del suono”, cioè quanto una tecnica o uno stile può influenzare il risultato finale di un’opera. perché una canzone può essere bella nella sua forma più essenziale, magari solo chitarra e voce, può avere un testo stupendo e così via, ma è come la registri e l’arrangi che fa la differenza. i tame impala sarebbero percepiti nello stesso modo se avessero avuto, che ne so, una produzione tipo quella degli strokes? i my bloody valentine sarebbero i my bloody valentine se non avessero registrato 30 chitarre uguali una sull’altra?
ora, questi sono nomi giganti a cui senz’altro non voglio paragonarmi, ma era solo per dire che l’idea che c’è dietro un disco spesso fa il disco. poi è chiaro che se hai l’idea ma la musica fa cagare non vai da nessuna parte, però il mondo che gli costruisci attorno è una parte fondamentale del progetto, e sto parlando anche dell’aspetto grafico, che mi sta particolarmente a cuore.
non ci resta che lanciare il secondo dado e… 6! pietre roventi è un successone nel mercato asiatico.
la prossima tappa è l’america del nord: dopo i tuoi lavori per isabel marant e missoni, un brand di moda ti invita a collaborare per la new york fashion week. ti chiede di partire da un brano di “azulejos” come reference: quale scegli?
ti direi azul oro con ela minus, un pezzo a cui sono molto legato. di solito quando riascolto le mie robe a distanza di tempo non mi piacciono mai, invece per azul oro non provo quella vergogna, anzi. mi sembra veramente figa la connessione che si è creata tra la texture sonora e il testo di ela minus. azul oro è probabilmente il pezzo più rappresentativo del disco: “azulejos” viene fuori da un mio viaggio di due mesi a lisbona, una città che ha una roba strana nell’aria, una luce particolare, e che ho trovato molto simile a napoli. quando ho fatto ascoltare il pezzo a ela minus ho cercato di trasmetterle questa sensazione di luminosità e lei ha tirato fuori un testo stupendo, capace di accentuare quella percezione di brillantezza.
senti, ma com’ è produrre musica per il mondo della moda?
guarda, devi essere una persona paziente e soprattutto brava a interpretare quello che loro hanno in testa e che spesso non sono in grado di comunicare. a volte ti chiedono cose tipo: “possiamo avere un sound bianco ma che sia anche nero? una roba veloce ma non troppo; dark ma anche happy?” e tu sei là che pensi: “non capisco, no entiendo, no hablo tu idioma”. diciamo che a un certo punto ti devi un po’ imporre e far capire che se sono loro che hanno chiamato te allora si devono anche fidare. perché se ti rivolgi a un’agenzia che fa sound design e per lavoro produce i sound-alike - appunto produzioni fatta apposte per assomigliare ad altra musica - sei autorizzato a chiedere quello che ti pare, ma se ti rivolgi ad artisti che hanno il loro stile e gusto estetico ben definito è diverso.
il problema è che queste persone devono lavorare a ritmi folli, si riducono sempre all’ultimo e di conseguenza alla fine hanno mille dubbi. dubbi che poi valicano i confini del loro ambito e che li portano a mettere in discussione tutto, dalla musica alle luci. quindi tu in un certo senso fai anche da psicologo: li rassicuri che tu fai questo per lavoro e che se gli dici che una roba è figa poi vedrai che funzionerà. poi calcola che non è così scontato che i brand grossi abbiano alle spalle un music consultant, quindi spesso hai a che fare con gente che non è così dentro il mondo della musica. ecco, il mio lavoro della vita non è fare musica per i brand, io vorrei fare il consulente: fate interagire me con gli artisti, fatemi aiutare il vostro brand a scegliere la musica perfetta.
e su questo appello direi di lanciare il dado… ahia: 1.
merda, scherzavo, non affidatemi nessun progetto allora. vabbé dai che il nordamerica e la moda sono due mondi inconciliabili.
penultima tappa, l’africa: il nyege nyege festival ti invita a suonare “night safari” per intero. con quale pezzo apri il tuo set?
lo aprirei con vu ft. clap! clap!, che è il mio pezzo preferito del disco. quella canzone senza clap! clap! non sarebbe stata la stessa. ricordo ancora dov’ero quando mi ha inviato la sua parte: l’ho ascoltata e sono rimasto completamente scioccato. quella roba che ha fatto penso che sarà futuristica anche tra vent’anni.
io invece ricordo bene gli articoli entusiasti che uscirono nel 2014 dopo il tuo “night safari” e “tayi bebba” di clap! clap!. come vedi adesso, a freddo, quell’anno? com’è cambiata la scena elettronica italiana rispetto a quel momento lì?
ti racconto una cosa che mi è successa ieri che è perfetta per la tua domanda. qui in puglia c’era dj raff, un mio amico producer cileno che vive a londra e fa più o meno quello che facciamo io, chancha via circuito, el búho… quanti saremo nel mondo che fanno questa roba qui? 15, 20? i nomi quelli sono, non è che siamo tantissimi. a me sembrava strano che lo avessero chiamato a suonare a lecce a marzo - di solito durante i mesi invernali si anestetizza un po’ tutto, è difficile proporre il nostro tipo di musica: fa freddo, la gente non vuole uscire di casa. lui mi ha risposto che in realtà negli ultimi anni è venuto a suonare spesso in italia e che anzi era rimasto sorpreso di trovare a roma un sacco di dj che suonassero musica simile alla nostra e non riusciva a spiegarsi bene questa cosa. al che gli ho raccontato di quando io, clap! clap! e khalab abbiamo iniziato a cospargere il seme della musica elettronica contaminata già nel lontano 2013 e che la stessa gente che al tempo ci criticava ora ha cominciato a suonare le nostre robe.
credimi: non lo dico perché sono un tipo sborone o per prendermi chissà che rivincita, perché davvero non me ne frega niente, ma è evidente che io, clap! clap! e khalab siamo stati responsabili di aver spinto un certo tipo di elettronica in italia, il che mi sembra un cosa molto bella, tutto qua.
mi sembra il momento perfetto per lanciare il dado… un altro 6, incredibile! direi che non poteva essere altrimenti.
per l’ultima tappa siamo in europa: ovviamente a lanzarote, l’isola che ha ispirato la tua “isla diferente”. qual è il pezzo che meglio rappresenta il nuovo disco?
dura questa, forse scelgo l’intro. non è sicuramente il pezzo più “forte” del disco o che balleresti in un club, ma è come se fosse un portale verso un mondo, appunto la isla diferente che dà il titolo al brano e che, come si chiede la voce che si sente nella canzone, è qualcosa in bilico tra un mondo nuovo e un nuovo modo di pensare. potrebbe essere un’isola reale o un viaggio mentale dopo che ti sei fatto un acido. la isla diferente unisce in maniera molto equilibrata tutte le ispirazioni del disco: lanzarote, la scena glitch e label come la mille plateaux o la mego, i pad della musica ambient, i kit latini e i flauti di pan, le droghe ricreative. è un mondo magico e onirico in cui rimanere sospesi.
a proposito di trip e flauti di pan, una curiosità: conosci chuquimamani-condori? ho avuto l’impressione che in italia si sia parlato poco di “dj e”.
no vabbé, quel disco è pazzesco. ti dico solo che quando me l’hanno consigliato avevo tipo la febbre a 40, quindi l’ho ascoltato in uno stato un po’ alterato dall’influenza e non ero sicuro se ero io a stare delirando o era proprio l’album a essere così. quando poi l’ho riascoltato con calma a distanza di una settimana e in condizioni psicofisiche normali ho avuto conferma che era il disco: una roba folle e veramente geniale.
tornando al tuo disco: mi racconti della collaborazione con rocco rampino?
rocco è un mio amico da tantissimi anni. sapevamo che a un certo punto dovevamo lavorare insieme e la collaborazione è stata così fluida, naturale e creativa che entrambi ci siamo chiesti perché non l’avessimo fatto prima. quando ho proposto a rocco di collaborare al disco, lui all’inizio non era d’accordo, mi diceva che non avevo bisogno del suo aiuto. si è convinto quando gli ho fatto capire che non volevo un produttore qualsiasi, ma volevo collaborare con lui proprio da un punto di vista umano, di scambio di vedute. tra di noi c’è massima fiducia: ogni volta che mi ha suggerito di cambiare qualcosa ho accettato e quest’approccio ha portato i pezzi verso direzioni che non avevo immaginato. poi rocco ha una cultura musicale così vasta che ti fa sempre sentire a tuo agio. puoi parlargli di groove, armonia, sperimentazione: ti capisce sempre e lavorare così è fantastico. a volte il difficile di una collaborazione è proprio cercare di far comprendere all’altro l’idea che hai in mente.
il ruolo che ha avuto rocco per te è quello che hai avuto tu per i fuera?
no, rocco ha fatto degli interventi sonori all’interno di tutti i brani, mentre il mio lavoro con i fuera per “circo mezzaluna” è stato più di supervisione. ho seguito il processo creativo dalle demo fino alla fase di mix e mastering, ma tranne il pezzo con bluem in cui ho effettivamente fatto tanto, li ho soprattutto aiutati ad ampliare gli orizzonti sonori e ad avere meno dubbi riguardo certe cose che secondo me funzionavano già bene per come me le avevano presentate. di fatto, penso che il mio supporto ai fuera ha avuto più influenza su tutte le cose che hanno pubblicato dopo. mi hanno detto che la loro visione è cambiata parecchio grazie alla nostra collaborazione. pensa che mi hanno inserito nei ringraziamenti del loro ultimo album: l’unica persona in quella lista che non ha effettivamente partecipato al disco.
a questo punto ne approfitto anche io per ringraziarti della chiacchierata e lanciamo l’ultimo dado… 4 - il che ti assicura un successo di nicchia, ma ti resta ancora il bonus per raddoppiare il punteggio.
questo è per “isla diferente”, giusto? allora usiamolo dai, così magari porta bene.
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