tra le cose mistiche e straordinarie che sapeva fare mia nonna c’era il roast beef, la pasta al forno e capire se qualcuno ti aveva fatto il malocchio. quell’unica volta in cui le chiesi cos’era sta roba de l’uocchie è uno di quei ricordi del cui valore ti accorgi solo dopo un sacco di tempo.
pur nutrendo seri dubbi sulla validità scientifica del processo, il fatto che mia nonna lanciasse gocce d’olio a caso in un piatto pieno d’acqua, sussurrando parole incomprensibili per capire se eri stato maledetto o no, per me aveva perfettamente senso.
c’entrava sicuramente l’autorità indiscussa di mia nonna, ma immagino anche il fascino del rituale magico, dell’insieme di credenze e tradizioni del posto in cui sei nato, tramandate da generazione in generazione. una cosa che fai fatica a comprendere ma che ti suona familiare e che, volente o nolente, ti riguarda.
“vou ficar neste quadrado” di ana lua caiano è - come per i dischi di daniela pes e massimo silverio, iosonouncane, mai mai mai e alfio antico - uno di quei casi eccezionali in cui a fare l’uocchie non è mia nonna, ma degli artisti pazzeschi appassionati di elettronica e musica popolare.
al posto dell’acqua, alla base della formula dell’artista di lisbona ci sono i canti contadini portoghesi degli anni ‘70 (non il fado, più qualcosa del genere), che hanno influenzato il suo approccio alla composizione. al posto delle gocce d’olio, c’è un’intera tanica di sintetizzatori glitchy e massicci beat da club. non parlando il portoghese, la sensazione di avere a che fare con parole incomprensibili resta, ma qui la voce è l’elemento trainante di tutta la baracca, altro che bisbiglio.
se a quanto detto sopra si aggiunge che “vou ficar neste quadrado” è un album d’esordio che suona già molto a fuoco, si può dire con serenità che ana lua caiano è una di quei famosi artisti da tenere d’occhio. non troppo intensamente, però, mi raccomando, che se no poi scatta la maledizione. stop.
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